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mar

05

nov

2013

(ri)PARTENZE

La speranza dura fino all’ultimo kiwi, normalmente fino alla settimana della festa di Ognissanti. Poi soltanto l’attesa di essere pagati, di ricevere qualche busta paga e partire; per tanti l’incertezza di un futuro prossimo, qui o altrove, sempre e comunque alle prese con il problema lavoro, il problema casa, il rinnovo del permesso di soggiorno.

 

 

Ricominciare tutto da capo, andare a Rosarno, cercare un posto dove dormire, una bicicletta, un padrone o un caporale che hanno bisogno di qualcuno da sfruttare per qualche giorno di lavoro. Qui il freddo e la neve sul Monviso, in Calabria temperature un po’ più miti e le piogge che ti fanno correre i brividi giù per la schiena.

 

Ricominciare tutto da capo, andare in Francia, in Spagna, in Germania perché qualche amico ti ha detto che forse è più facile trovare lavoro, perché in Italia la crisi non finisce più, perché leggi maledette ti costringono ad elemosinare un permesso di soggiorno al quale ti devi aggrappare se vuoi sopravvivere.

 

Ricominciare tutto da capo, andare in qualche città del nord, a Vicenza, Padova, Brescia, Treviso, Milano, dove fino a qualche tempo fa avevi la residenza e un lavoro ma adesso sono soltanto i luoghi dove si sono infranti i sogni di una migrazione voluta per mettere un po’ a posto le cose a Bamako, a Ouagadougou, a Abidjan dove le famiglie aspettano il tuo ritorno e i tuoi soldi.

 

Chi non sa dove andare e si è stufato di girare, prova a rimanere a Saluzzo. Chi cerca una casa perché “se ti fermi in un posto è più facile trovare lavoro”, chi cerca un lavoro perché “così affitto una casa e mi fermo qui”, chi si iscrive al corso per la licenza media, chi ad una scuola guida per prendere la patente. E tutti si scontrano col fatto che gli affitti sono cari e non ci sono case per i neri, che l’inverno è lungo, che un conto è raccogliere la frutta altra cosa è essere assunti per un lavoro normale. “Da quest’estate stiamo cercando un alloggio a Saluzzo – sospira Mamadou, giubbotto bianchissimo e cuffie trendy intorno al collo, un buon contratto in tasca e un letto nella casa di accoglienza della Associazione Papa Giovanni – Adesso abbiamo trovato un piccolo alloggio che va bene per due persone, è vuoto, ci sono solo i termosifoni e una sedia, 350 euro al mese senza spese condominiali. Il proprietario ci ha chiesto 1000 euro di caparra e due mesi di anticipo più le spese di registrazione del contratto. Come facciamo a tirare fuori quasi 2000 euro in due? Ci abbiamo pensato bene ma abbiamo lasciato stare, cercheremo ancora in qualche paese vicino dove magari costa meno”.

 

Gli affitti sono molto alti a Saluzzo, “Borgo della Felicità”. Le spese condominiali incidono notevolmente, poi ci sono gli allacciamenti del gas, della luce, il riscaldamento. Se ne stanno accorgendo i migranti ma anche gli italiani; in giro è pieno di case sfitte, i redditi sono bassi e la precarietà aumenta per tutti. Eppure si continuano a costruire palazzoni ed eleganti residenze per i pochi che se le possono permettere, il centro storico è intasato di cantieri per la ristrutturazione di edifici “di pregio”. Sui giornali notizie di sfratti e di nuove povertà.

 

 

 

Chi ha lavorato un po’ di più ha prenotato un volo ed è in partenza per l’Africa, tre o quattro mesi, fino alla primavera prossima, e poi tornare e ricominciare tutto da capo…

 

Mohamed, Salif e Diallo potranno finalmente rivedere le loro famiglie. Per loro la data scritta sul biglietto andata e ritorno da Milano Malpensa segna la fine di di un ciclo iniziato 4 anni fa con la perdita di un lavoro più o meno regolare, l’arrivo a Saluzzo, la creazione di un rapporto di fiducia con i datori di lavoro che da 2 anni in tarda primavera li assumono, la condivisione di una casa in affitto. “Sono contento di rivedere la mia famiglia e gli amici del mio quartiere a Bamako – dice Mohamed – Andrò a vedere a che punto è la casa che sto facendo costruire con i soldi che mando ogni tanto. A marzo ritorno a Saluzzo, qui sto bene”. La preoccupazione più grossa in questo momento è riuscire a portare tutto sull’aereo: la televisione e l’impianto stereo nuovi tengono tanto posto, due valigie da 23 chili sono ormai piene, il bagaglio a mano al massimo è 10 chili. Il pesante fardello di un’Italia ancora luccicante per chi vive nella polvere rossa di Bamako.

 

Joseph aveva lasciato per un anno il lavoro di insegnante a Ouagadougou per venire a raccogliere la frutta e pagare le cure per una sorella gravemente malata: è ripartito con un carico di delusione e tristezza, riprenderà il suo lavoro ma la sorella non potrà essere curata perché lui non ha guadagnato abbastanza. Chissà quante storie come la sua sono rimaste nascoste sotto i teli delle baracche di Guantanamo, quanta umanità è rimasta imprigionata dentro i containers, le tende blu, le transenne, le barriere fisiche e mentali erette dalle autorità preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico.

 

“Sono arrivato in Italia nel 2008 dalla Costa d’Avorio. Prima andavo a scuola poi è scoppiata la guerra. Dove abito io fino al 2004 era ancora abbastanza tranquillo, dal 2005 ha cominciato a essere pericoloso, si ammazzavano tra loro e la gente scappava. – racconta Goli, fisico minuto, espressione ingenua e sempre sorridente - Mio fratello viveva già in Italia da 15 anni così mi ha fatto avere i documenti e sono venuto a Firenze. Ho fatto la scuola da saldatore e ho trovato subito lavoro. Mi pagavano bene, sono stato lì due anni ma poi avevo dei problemi agli occhi e ho dovuto lasciare. A Firenze ho trovato lavori per una settimana, un mese o due mesi e allora ho cominciato a girare, sono andato a Verona, Trento, Bolzano. Poi amici africani di Firenze mi hanno parlato di Saluzzo e sono venuto qui ad agosto. Sapevo che non c’era casa ma per noi non è importante dove dormi ma trovare un lavoro e guadagnare qualche euro. Ho fatto tanti giri con la bicicletta: qualcuno ti prende il numero, qualcuno ti dice che non hanno bisogno, altri che c’è la crisi.

 

Mi hanno fatto lavorare un giorno per pagarmi il biglietto e lasciare Saluzzo. Adesso fa più di 2 anni che non lavoro veramente, voglio andare in Francia. Un mio amico abita a Ville Neuve, vicino a Parigi e mi ha detto che mi lascia dormire a casa sua. Vado lì, conosco qualcuno, magari non trovo subito un lavoro ma prima o poi avrò fortuna. Il problema è il permesso di soggiorno.

 

Ho fatto domanda per il rinnovo alla Questura di Ragusa a ottobre 2012, mi dicono che la domanda è andata a Roma per essere esaminata dalla commissione che valuta le richieste per motivi umanitari. Tutte le volte che guardo sul sito della questura c’è scritto “in trattazione”.

 

Il mio permesso non è valido per lavorare in Francia ma è inutile che sto qui a perdere tempo, tanto un lavoro adesso non lo trovo. Quando mi dicono che è pronto vado a prenderlo, mentre aspetto provo in Francia. Spero che non mi facciano problemi a passare la frontiera, secondo te è meglio passare da Ventimiglia o da Lyon?”. Nel  frattempo Goli tiene in tasca i soldi che ha guadagnato ma che non gli basteranno per il biglietto fino a Parigi. Però ha trovato una valigia bella grande, un sacco a pelo, un paio di scarpe e una giacca pesanti, quanto gli basta per partire da Saluzzo con la sua espressione ingenua e il suo sorriso che fanno tenerezza.

 

 

 

A Guantanamo molte valigie sono pronte. Silla è da sei mesi a Saluzzo e non ha mai lavorato, tornerà a Bergamo per l’inverno e spera di non dover più tornare l’anno prossimo; Keita sembra in partenza per una spedizione polare tanto è imbacuccato dentro due giubbotti laceri, cappellino, berretto di lana e cappuccio della felpa; uno del Mali che non ricordo come si chiama mi racconta che viene da un campo profughi vicino a Bologna, ha girato un po’ ed è arrivato a Saluzzo, aspetta di prendere i soldi dal suo padrone che gli serviranno per trascorrere l’inverno a Milano dove non è mai stato ma conosce qualcuno che lo può ospitare per un po’. Issaka è un tipo baldanzoso e intraprendente, ha guadagnato bene ed è stato ospitato dal suo padrone fino a settembre, ora è tornato nella sua capanna e presto partirà insieme ad altri per Rosarno; Karamoko è elegante come sempre e come sempre porta i suoi Raj Ban con le lenti a specchio anche se ormai il sole è pallido dietro le nuvole di questo inizio autunno, parte per la campagna romana dove spera di raccogliere le olive; Banou, occhialini da intellettuale, in Costa d’Avorio ha studiato fino a quando la guerra glielo ha permesso, vive a Brescia: è arrabbiato con il sindaco di Saluzzo che non vuole gli africani e “continua a chiederci quando andiamo via” e con i tempi della questura che tarda a rinnovargli il permesso. “Perché non capite che senza gli immigrati l’Italia sarebbe un paese morto? I popoli si sono sempre spostati da un posto all’altro, è impossibile fermare tutto questo. Noi lavoriamo per voi e in cambio guarda qui dove ci fate stare” Ci guardiamo intorno: Guantanamo, i containers della Coldiretti, le tende blu del Ministero dell’Interno, recinzioni ovunque, dietro di noi l’isola ecologica maleodorante, abiti stesi sotto la pioggia, carcasse di biciclette, fuochi accesi tra scarpe e immondizia. Per fortuna che poco più in là il barbiere ha trovato un riparo sotto l’ala del tetto del “Palamucca” e fa la barba ad un cliente mentre gli altri fanno la coda chiaccherando e ascoltando una musica che sa di sole e nostalgia.

 

 

 

 

 

Lele Odiardo

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lun

21

ott

2013

IL TEMPO DELLE MELE

“In sicurezza”

 

Il mese di settembre era iniziato sotto i migliori auspici con la tanto attesa visita del Ministro per l'integrazione Cecile Kyengé.

 

Una visita blindata quella del 7 settembre, con orazioni riservate alla stampa e a pochi addetti ai lavori invitati personalmente, nella prestigiosa cornice del giardino della Scuola di Alto Perfezionamento Musicale

 

Il sindaco Allemano da anni lamenta, magari esgerando un po' per attirare l'attenzione, che “Saluzzo è lasciata sola a gestire un'emergenza che va inserita nel contesto epocale delle grandi migrazioni dal sud del mondo” e quando finalmente viene il ministro, cioè la massima autorità nazionale sulla questione, spreca l'occasione. Innanzitutto non prevedendo una visita a Guantanamo, dove centinaia di migranti da mesi vivono in condizioni estreme, poi riducendo l'incontro ufficiale  ad una breve passerella di tutti i soggetti istituzionali. Meno male che i migranti sono riusciti a farsi ricevere in un fuori programma durante il quale hanno letto un documento che elencava gli errori dell'amministrazione saluzzese e conteneva precise richieste per chiudere la stagione in corso e migliorare i piani per il futuro. Ma il ministro e il codazzo di sicurezza e accompagnatori avevano fretta, tanta fretta, li aspettavano per l'aperitivo alla festa dei Giovani Democratici...

 

L'unica cosa che tutti hanno capito è che siamo in campagna elettorale ed era più importante lamentare l'assenza degli avversari politici della provincia e della regione (a guida leghista) piuttosto che elaborare ipotesi di intervento concrete.

 

Ed il sabato successivo arrivano le tende al Foro Boario, 20 tende blu da 12 posti ciascuna gentilmente fornite dal Ministero dell'Interno, molto simili a quelle giunte a Rosarno la primavera scorsa, a fine stagione anche lì. Il sindaco si fa intervistare in maniche corte in una splendida giornata di sole indaffarato a dare una mano ai volontari durante il montaggio: “Siamo a metà settembre, le temperature si abbassano. Vogliamo che questi uomini possano portare a termine la loro permanenza in sicurezza e partire da saluzzo asciutti”.

 

I posti non bastano per tutti, i migranti sono “obbligati” a trasferirsi nelle tende e a sottoscrivere l' impegno di lasciare Saluzzo entro il 20 ottobre (la solita ossessione per le scadenze: quando vi diamo qualcosa, in cambio voi vi dovete impegnare ad andarvene il più presto possibile).

 

Sorpresa! “Il sindaco ha detto che quello che loro possono fare per noi è questo qua: niente!” dicono i migranti domenica 15 settembre “Nelle tende non c'è niente, fa freddo dentro, non c'è la luce. Siamo venuti, poi faceva freddo e siamo scappati, qualcuno piangeva. Non si fa così. I carabinieri ci hanno anche detto che se noi tornavamo di là (a Guantanamo, ndr) non ci davano più il permesso di soggiorno in Italia”.

 

Le tende per mettere i migranti “in sicurezza” non avevano alcun telo per terra, alcun rivestimento, oltre ad essere sprovviste di brande, materassi e coperte. Ancora una volta i migranti si ribellano, nelle tende non ci vogliono stare in quelle condizioni, stanno meglio nelle capanne che hanno costruito durante l'estate. Una folta delegazione viene ricevuta dall'amministrazione e ottiene ciò che vuole. Anche per la scadenza del 20 ottobre si vedrà... Intanto le suore portano le coperte e la Caritas dei teli supplementari, le opposizioni scendono in piazza e sottopongono ai passanti ridicoli questionari al grido di: “E adesso quando se ne andranno?”

 

 

 

“Ragazzi educati”

 

 

Ma settembre è il tempo delle mele. Tra i produttori si respira aria di soddisfazione per l'andamento della campagna di raccolta, qualche nuovo contratto per i migranti e molta attenzione ai mercati internazionali in espansione.

 

Per quanto riguarda la manodopera “Il fenomeno dei flussi è in netta diminuzione e sostanzialmente non funziona” afferma il segretario di zona della Coldiretti “Considerata la situazione economica e la forte disoccupazione ci si aspettava il ritorno nei frutteti di numerosi lavoratori locali forzatamente disoccupati a causa della crisi”. Era uno degli argomenti “forti” ad inizio stagione, cavalcato dalla destra leghista (“gli stranieri tolgono il lavoro agli italiani”). Non è avvenuto, e il segretario Coldiretti sostiene che ciò è dovuto agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e mobilità) che “scoraggiano spesso la ricerca di altri lavori, anche stagionali”.

 

Gli africani invece “Salvo poche eccezioni, sono ragazzi educati, lavoratori seri, affidabili, non hanno creato problemi”. E soprattutto prendono quello che gli danno.

 

Un appello della Flai cgil cuneese datato 3 marzo 2013 affermava: “Quella dell'agroindustria è una situazione occupazionale ad alto tasso di irregolarità. (…) Accanto ai problemi di ospitalità per questi lavoratori esiste una realtà diffusa di lavoro nero e lavoro ”grigio”, a giornate, dove le giornate di lavoro regolare sono molto inferiori a quelle effettive. Non abbiamo sentore di “caporalato” già presente, ma la ricerca di lavoro individuale, in condizioni di bisogno, in presenza di un numero altissimo di lavoratori che cercano anche pochi giorni di ingaggio, rende questi lavoratori particolarmente deboli e sfruttabili. Riteniamo quindi fondamentale l’istituzione del collocamento obbligatorio attraverso il Centro per l’Impiego per prevenire fenomeni di caporalato e per controllare e monitorare i contratti stipulati”.

 

In effetti il Centro per l’Impiego di Saluzzo il 1° giugno ha attivato una apposita “Lista braccianti migranti” alla quale si sono iscritti 254 africani fino al mese di settembre (156 solo a giugno, la maggior parte coloro che avevono ricevuto l’intimazione di sgombero dell’area del Foro Boario in seguito all’ordinanza del sindaco). In 168 hanno trovato un lavoro e contratti con una durata media di 58 giorni e un numero medio di 23 giornate lavorate. Sono stati stipulati contratti della durata di 15 giorni (3 giornate di lavoro previste), di 46 giorni (18 giornate lavorative previste), di 3 o 4 mesi (da 15 a 50 giornate lavorative previste), quasi tutti con la qualifica di “bracciante”, qualcuno è stato assunto come “operaio agricolo”.

 

Il comunicato dell’ufficio stampa della provincia recita “Su accordo tra le parti sociali l’elenco dei lavoratori registrati è stato consegnato solo alla Coldiretti. Le singole aziende, successivamente, hanno attinto dal suddetto elenco”

 

Dunque circa un terzo dei migranti arrivati in città durante l’estate si è iscritto al centro per l’impiego, perché scarsa è stata l’informazione e perché i migranti sanno bene che altre sono le forme di reclutamento della manodopera.

 

Sempre stando ai comunicati ufficiali, nel corso della stagione 2012 (da giugno a ottobre circa) la Guardia di Finanza aveva “visitato” alcune aziende (poche per la verità rispetto alla massa di lavoratori impiegati in tale periodo dell'anno) rilevando numerose violazioni inerenti all’aspetto tributario. “In particolare, sono state individuate discrasie tra il totale delle ore di lavoro registrate in busta paga e l’effettiva retribuzione corrisposta mensilmente ai lavoratori, con conseguente evasione degli oneri contributivi e fiscali”. In una azienda di grandi dimensioni sono stati rilevati “7 braccianti agricoli “in nero” e 17 lavoratori “irregolari”, prevalentemente di origine africana e albanese.”

 

“La maggior parte delle grandi aziende del territorio utilizza quasi esclusivamente manodopera straniera” – afferma un agricoltore biologico del saluzzese – “mi risulta ci siano agevolazioni per chi assume disoccupati con determinati requisiti ma tanto è ormai la norma assumere gli stranieri, perchè gli italiani non accettano più un lavoro del genere, stagionale, faticoso e alla fine pagato poco, mentre gli stranieri si. Non ci sono solo gli africani ma anche i rumeni, gli albanesi, i polacchi, i cinesi, però gli africani piacciono perchè lavorano bene e non si lamentano mai.

 

Noi paghiamo 6,80 euro all'ora più i contributi, per chi ha già lavorato, anche non da noi. Ma le paghe che sentiamo in giro sono molto più basse, anche sotto i 6 euro. Per fortuna che qualche imprenditore comincia a farsi carico anche del vitto e dell'ospitalità in azienda; in questi casi credo che la paga scenda un po'. Ospitare i lavoratori in azienda però non è semplice: spesso il posto ci sarebbe ma gli imprenditori preferiscono non rischiare perchè ci sono problemi rispetto all'agibilità dei locali, gli impianti e i bagni devono essere a norma e via dicendo. Magari a qualcuno invece non piace proprio evere dei neri in casa. Io penso che l'ideale sarebbe che, con il proprio reddito, i migranti riuscissero a rendersi autonomi e a trovare alloggi in affitto, questo garantirebbe in prospettiva una integrazione maggiore con il contesto locale.

 

Siamo una piccola azienda e molti lavori li facciamo da noi, abbiamo bisogno di manodopera solo per la raccolta. Le grandi imprese, invece, richiedono molta manodopera anche per tutta una serie di altri lavori: potare, diradare, reimpiantare, etc... e' ovvio che un migrante stagionale sia contento quando gli fanno un contratto più lungo ma è proprio in questi casi che è più facile evadere i contributi.

 

Mettiamocelo bene in testa: il costo del lavoro, in agricoltura come in qualsiasi altro settore produttivo, è un costo d'impresa come tutti gli altri però non si può sempre solo speculare su di esso soltanto  perchè il lavoro è svolto da manodopera poco qualificata e facilmente ricattabile!”

 

La Confederazione Unitaria di Base da luglio ha gestito uno sportello settimanale a  Guantanamo: “Passano  tanti migranti per chiedere informazioni e farci vedere i contratti. In molti lamentano l'impossibilità di negoziare con i datori di lavoro condizioni diverse da quelle stabilite dagli imprenditori stessi”.

 

L'esubero di manodopera soprattutto straniera (non solo africana ma anche albanese, romena e cinese) rispetto al fabbisogno delle aziende, fa si che peggiorino le condizioni di lavoro per tutti. “Innanzitutto per quel che riguarda la paga oraria abbiamo riscontrato una diminuzione rispetto agli anni scorsi. Il nuovo contratto provinciale prevede un compenso per i raccoglitori assunti per la prima volta di 5,90 euro lordi, che diventano 6, 80 per i riassunti o per il contratto rinnovato. Per gli operai comuni a tempo determinato la paga orara passa a 9,05 lorde orarie comprensive però di tredicesima, ferie, etc...

 

E' evidente che le paghe sono le stesse per tutti e mediamente sono di 5/5,50 euro all'ora con punte massime di 6 euro, senza considerare gli straordinari o i festivi. E' prassi che le buste paga siano virtuali e che il compenso finale sia corrisposto in contanti o assegno. Sulle buste paga i giorni segnati non corrispondono praticamente mai a quelli effettivamente lavorati. Questo fatto preclude ai lavoratori la possibilità di accedere alla disoccupazione agricola; bisogna sottolineare che per i braccianti, a differenza di altri settori produttivi, la disoccupazione è da considerarsi come parte integrante del reddito visto il carattere stagionale del rapporto di lavoro stesso”.

 

Lele Odiardo

* FOTO http://laterracheconnette.wordpress.com/

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mar

08

ott

2013

ATTRAVERSO TROPPE FRONTIERE

Il racconto di Bamba, drammatico e rocambolesco, in fuga dalla guerra. Attraverso il Ghana, il Burkina Faso, il Niger, l’Algeria, il Marocco, il Mali, il Senegal, l’Egitto, Israele. Il ritorno a casa, in Costa d’Avorio, e l’arrivo nell’Italia della crisi.

 

Dedicato a chi non ce l’ha fatta, ai morti di Lampedusa.

 

 

 

Mi chiamo Bamba e sono nato il 1° agosto 1986 a Abidjan in Costa d'Avorio. Mio padre è insegnante,  ha 2 mogli e 18 figli, io sono il più grande.

 

Sono andato a scuola 5 anni e dopo ho imparato il mestiere di falegname. A me è sempre piaciuto giocare a calcio così ho chiesto a mio padre di iscrivermi alla Africa Sports National, la scuola di football della più importante società calcistica ivoriana; ho fatto un corso per allenatori e ho cominciato ad allenare la squadra dei bambini più piccoli.

 

Poi è scoppiata la guerra e nel 2003 sono stato costretto a uscire dalla Costa d'Avorio. I ribelli cercavano i giovani per obbligarli ad arruolarsi e combattere per loro: nel mio quartiere la maggioranza era di etnia bété, io sono djoula e quindi era pericoloso per me. Gli altri della mia famiglia sono fuggiti in un villaggio lontano dalla capitale.

 

Sono uscito con un amico, all'avventura: in Ghana, Burkina Faso, Niger. Volevo andare in Libia ma ho avuto dei problemi con i touareg che ti fanno attraversare il Sahara. Ho pagato 200 euro (circa 100.000 franchi CFA) ma loro ci hanno portati in Algeria. Ci hanno messi dentro una automobile Land Cruiser, erano armati di grossi bastoni e per farci stare tutti ci tiravano calci. Dopo un lungo viaggio chiusi lì dentro ci siamo fermati ai piedi di una montagna. Ci hanno fatti scendere e lasciati lì dicendo che oltre la montagna c'era l'Algeria. Si vedevano delle luci che sembravano vicine, ma è il deserto che fa brutti scherzi. Abbiamo camminato per 36 chilometri, senza acqua e senza mangiare, abbiamo scalato la montagna e ci siamo resi conto che quelle luci erano ancora lontane. La città era Tamanrasset, siamo entrati di nascosto, per non farci prendere dalla polizia. Sono rimasto in quella città per due anni, facevo il muratore. Poi la polizia mi ha preso e e mi ha portato in Mali perchè non avevo i documenti. Sono riuscito a tornare a Tamanrasset e da lì fino alla capitale Algeri. Stavo in un quartiere dove c'erano tanti africani neri, ho fatto il calzolaio per un anno e qualche mese e appena ho avuto i soldi sono andato a Ceuta, in Marocco. Volevo passare in Spagna ma la polizia marocchina mi ha preso e consegnato a quella algerina. Sono stato tre mesi in prigione ed espulso ancora una volta in Mali. Ero nel quartiere Magnambougou, non sapevo più cosa fare ma non potevo tornare in Costa d'Avorio. In tutto questo tempo non ero riuscito a sentire la mia famiglia; ho poi saputo che mio padre era andato dal marabut   per consultare les fetiches e sapere se ero ancora vivo. “Perchè non mi chiama” chiese mio padre al marabut; “Tuo figlio vive ancora su questa terra ma non ti può chiamare perchè non ha niente sulla sua pelle” rispose il marabut.

 

Alla fine mi sono deciso di andare a Dakar, in Senegal. Non conoscevo nessuno. Un giorno ho visto un giovane, mi sono avvicinato a lui e gli ho spiegato la mia situazione. Lui ha avuto pietà di me e mi ha portato da sua madre che mi ha accolto in casa sua per un anno e due mesi.

 

A Dakar ho fatto il muratore. Uno che lavorava con me voleva andare in Portogallo, non so perchè. Mi sono lasciato convincere e ho pagato per avere un visto per il Portogallo ma mi hanno fregato e sono scappati con i miei soldi.

 

Ero proprio scoraggiato e nel 2008 ho deciso di rientrare in Costa d'Avorio che in quel periodo sembrava in pace.

 

Mia madre vendeva al mercato e con i soldi guadagnati mi ha pagato il visto per un mese e il biglietto d'aereo per andare in Egitto.

 

Con alcuni fratelli africani volevo andare in Israele. Costa 1000 dollari.

 

E' andata così: ci hanno caricati in 12 su un pulmino e dopo un giorno di viaggio siamo arrivati a un piccolo villaggio. Lì ci hanno nascosti inseme a degli altri, eravamo 40 persone, dentro una benna e coperti con dei teli di plastica perchè la polizia non ci vedesse. Alla frontiera sentivamo la polizia che discuteva con chi guidava il camion: non capivamo quello che dicevano, stavamo fermi e zitti sul fondo della benna, coperti da spessi strati di teli di plastica. I poliziotti sono saliti e con il calcio delle armi premevano sui teli per controllare ma poi ci hanno lasciati passare. Di notte siamo arrivati in un posto dove c'erano tre reti molto alte da attraversare, sorvegliate giorno e notte dalle guardie armate. Abbiamo marciato tutta la notte lungo le reti, ci dicevano che dovevamo attraversare la prima rete ed eravamo in Israele, dovevamo saltare e correre senza fermarci, senza tornare indietro altrimenti le guardie ci avrebbero ucciso. Abbiamo posato scarpe e borse, scalato la  rete e cominciato a correre, la polizia egiziana ha sentito il rumore dei nostri piedi nudi sulla sabbia, hanno urlato alle nostre spalle per dare l'allarme e cominciato a sparare. Uno del Burkina Faso è stato colpito ed è rimasto a terra, due suoi compagni hanno rischiato la vita per tornare indietro a prenderlo e aiutarlo a passare la seconda rete. Il sangue usciva e lasciava una striscia sulla sabbia.

 

Ormai ce l'avevamo fatta: i soldati israeliani ci venivano incontro e ci hanno portati in un grande campo militare. Il burkinabé è morto appena siamo arrivati al campo.

 

Così sono arrivato in Israele e ci sono rimasto quasi tre anni senza documenti. Ho fatto diversi lavori, non stavo male, sentivo regolarmente la mia famiglia. Ho provato anche ad andare verso Gaza, al confine con la Palestina ma era troppo pericoloso, bombe ed esplosioni tutti i giorni.

 

Finchè la polizia mi ha preso un'altra volta, messo su un aereo e rispedito in patria.

 

Era il 2011, la guerra era finita. Ad Abidjan cercavo i miei amici ma mi rispondevano sempre “E' morto, é morto”, qualcuno era fuggito all'estero, altri non si sapeva che fine avevano fatto. La mia famiglia è rientrata nella capitale quando è stato eletto il presidente Ouattara. Mio padre, che era rimasto in città, mi faceva vedere i segni dei proiettili sui muri della nostra casa che per fortuna non era stata distrutta dai ribelli.

 

Ma cosa potevo fare? Dovevo continuare la mia strada. Mi sono sposato con Awa, che conoscevo da quando era una bambina. Lei ha subito raggiunto la sua famiglia che abita da tanti anni a Lecco, da quando non c'era ancora l'euro. Nel 2012 sono venuto anch'io in Italia con il visto regolare.

 

 

 

E' un anno che sono qui, a Lecco non c'è più lavoro per noi, le fabbriche chiudono. Un amico del Burkina Faso era stato a Saluzzo l'anno scorso e aveva lavorato bene, così sono venuto anch'io, a giugno, sotto le tende a Guantanamo. Fino a oggi mi hanno fatto un contratto di 15 giorni per raccogliere le pesche, aspetto le mele e i kiwi poi a ottobre torno a Lecco e continuerò a cercare lavoro.

 

Mia moglie lava i piatti in un ristorante e aspetta il nostro primo figlio. Vorrei che nascesse in Africa, tanto per noi non c'è futuro qui.

 

Quando posso mi compro un furgone Mercedes e torniamo in Costa d'Avorio. Per fare del business, trasportare merci e persone, è un buon lavoro da noi...

 

 

 

(Guantanamo-Saluzzo, 2 ottobre 2013)

 

 

 

Lele Odiardo

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mar

03

set

2013

RUBINETTI E FOTOCOPIE SBIADITE

RUBINETTI E FOTOCOPIE SBIADITE

 

La vistosa soddisfazione di Madou e la fotocopia sbiadita di Bengo, i volti opposti dell’agosto in città.

 

Il mese era iniziato con la “rivolta dell’acqua” e si è concluso con la rinomata Mostra Nazionale della Meccanica Agricola, in mezzo le solite storie di ordinaria migrazione.

 

Durante l’estate sono arrivati a Saluzzo 800 aspiranti braccianti: 200 hanno trovato ospitalità tra containers della Coldiretti e strutture di accoglienza, circa 50 presso le cascine dei datori di lavoro, quasi 600 si sono accampati a Guantanamo. Più di 300 hanno trovato lavoro, gli altri sono la riserva di manodopera a cui attingere in caso di bisogno, per qualche giorno o qualche ora, a seconda del tempo e della maturazione della frutta.

 

 

 

Per “ripristinare la legalità”, il 6 agosto, giornata torrida, il sindaco decide di togliere l’acqua ai 600 uomini della tendopoli perché l’allacciamento non è autorizzato e gli scarichi non sono a norma! Il dispetto scatena la rabbia dei migranti che improvvisano un corteo e bloccano il traffico perché a forza di fare errori si finisce per combinare guai e anche per i pacifici africani, saluzzesi d’adozione, la pazienza ha un limite. A nessuno piace essere preso in giro, soprattutto a chi già si trova in condizioni di estremo disagio.

 

Dopo una trattativa in municipio con il sindaco e alcuni esponenti della giunta, i migranti ottengono ciò che volevano e due ore dopo arrivano gli operai del comune a riportare l’acqua. Ma non dove già c’erano 4 rubinetti, 2 comode vasche e i tubi di scarico, collocati da mani esperte e generose in un luogo accessibile a tutti e al lato opposto delle tende per evitare sovraffollamenti dove troppa gente dorme ammassata come animali.

 

I potenti mezzi del comune hanno portato 4 bancali, 4 pali di legno e una matassa di fil di ferro per legare il tubo dell’acqua in mezzo alle baracche. Senza vasche e senza scarichi l’acqua sporca corre per alcuni metri fino ad immettersi in un tombino di cemento e il tratto diventa una fogna a cielo aperto invasa dai ratti. Ripristinare la legalità.

 

 

 

Intanto la raccolta delle pesche procede e pieno regime, gli uffici chiudono e chi se lo può permettere va in vacanza. Chi resta in città ha di che discutere: per chi urla più forte o scrive lettere ai giornali i migranti diventano brutti, sporchi e cattivi perché hanno osato alzare la voce, ognuno ha la sua ricetta per risolvere il problema, qualcuno li definisce una piaga, qualcuno invoca la polizia altri la protezione civile. La Lega Nord inizia la campagna elettorale per le amministrative locali che si svolgeranno l’anno prossimo proprio con una conferenza stampa durante la quale attacca il sindaco di centro sinistra: “Quelli che hanno protestato non sono migranti della frutta, altrimenti non avrebbero fatto una manifestazione alle 17, nel periodo clou della frutta. Gli agricoltori sono già piazzati da un anno all’altro e sicuramente non vanno al Foro Boario a proporre lavoro. Alla Caritas sono molti i saluzzesi, piemontesi ed italiani che si presentano per chiedere aiuto. Chiediamo al sindaco Allemano di ripristinare la legalità sul nostro territorio. Chiediamo ad Allemano di distaccarsi dalla politica buonista che non ha pagato. Loro vengono qua perché sono state create delle false aspettative nella frutta. Ma se un domani a loro non basta più questa fontana (pagata con i nostri soldi) potrebbe essere una bomba ad orologeria. Cosa faremmo al posto del sindaco? Non sveliamo il nostro programma elettorale adesso”. Ripristinare la legalità.

 

 

 

E il 30 agosto ritorna la fiera agricola, che inaugura con qualche giorno di anticipo le manifestazioni del settembre saluzzese. Ma la fiera si svolge proprio al Foro Boario, di fianco a Guantanamo. L’anno scorso pioveva e faceva un  freddo cane, il comune pensò di nasconderli alla vista dei visitatori costruendo un muro di robusti pannelli di legno, i migranti alzarono ancora una volta la voce e rovinarono la festa di inaugurazione costringendo le autorità a montare tardivamente alcune tende e a mettere un rubinetto per l’acqua.

 

Una fiera pensata per gli imprenditori agricoli, dove anche il pubblico più esigente potrà trovare concentrato il meglio della produzione agro-meccanica italiana e non solo. Quattro giorni dedicati agli addetti ai lavori e appassionati del settore, ma non senza iniziative e intrattenimenti per turisti e semplici curiosi. “ recitano  i soliti comunicati stampa.

 

Uno spazio espositivo di 35 mila mq, 5 mila posti auto gratuiti, 180 espositori, il ristorante e la passerella della mucca di razza frisona, tutto a fianco di una tendopoli abusiva dove da mesi vivono 600 persone senza corrente elettrica e senza servizi igienici, con un misero tubo dell’acqua montato a forza di protestare. A fianco degli stands i containers del campus allestito per 66 braccianti dalla Coldiretti, braccianti in libertà vigilata sui quali sperimentare nuovi modelli di “gestione del personale”.

 

“Non prenderemo particolari misure di precauzione – minimizza il sindaco – ormai tutti sanno quale è la situazione al Foro Boario, è inutile nasconderli”. Ma le opposizioni scalpitano e le forze dell’ordine vigilano, meno male che c’è Lola Furiosa

 

Uomini e macchine, muscoli e potenti trattori ultimo modello, braccia per pochi spiccioli all’ora e costosissime attrezzature d’avanguardia, sudore e benzina separati da una recinzione metallica e dal diverso colore della pelle.

 

 

 

Madou ha un contratto che dura un anno, da giugno 2013 a maggio 2014, con la qualifica di bracciante agricolo, 150 giornate lavorative previste, paga oraria 5 euro. Ha un permesso di soggiorno per lavoro subordinato che scade ad aprile quindi è tranquillo perché a quell’epoca avrà ancora un contratto in corso. Lo mostra orgoglioso e sorridente, il padrone è contento di lui, si è anche impegnato al pagamento delle spese per il rimpatrio. Il suo pensiero corre sempre ad Abdjian, in Costa d’Avorio, ai suoi figli e ai suoi nipoti; fin da ora sogna di raggiungerli durante l’inverno, quando ci sarà meno da fare in campagna.

 

Madou è tra i tanti che hanno trovato un lavoro e quindi un po’ di normalità. In questi giorni li vedi all’Unieuro o da Expert per cercare l’offerta vantaggiosa di un nuovo modello di cellulare oppure tra i banchi del mercato che vendono vestiti alla moda, il carrello della spesa nei discount è un po’ più pieno e i trasferimenti di denaro via MoneyGram o Western Union sono più frequenti, “100 euro qui, da noi sono come 1000 euro” mi dice Madou. C’è addirittura chi si è comprato un’ automobile!

 

Con un contratto e qualche soldo in tasca è possibile vivere il presente e progettare il futuro con qualche certezza in più: chiudere l’esperienza dell’emigrazione e tornare a casa, per la stanchezza di una vita da migrante niente affatto facile o perché l’obiettivo di costruirsi la casa, acquistare dei terreni o far studiare i figli è stato raggiunto, iscriversi ad una scuola professionale per provare a migliorare un po’, affittare una casa.

 

Dounbia frequenta la scuola guida, Mohamed il senegalese aspetta che che riapra l’Azienda di Formazione Professionale di Verzuolo per iscriversi al corso per saldatore riservato agli stranieri che inizierà a novembre; Mohamed il maliano è stato a Guantanamo, alla casa del cimitero, ospite dal suo padrone e finalmente vede la possibilità concreta di affittare un alloggio nel saluzzese con due suoi amici. Samaké ha acquistato a Torino un sofisticato e costoso metal detector: lo smonterà e spedirà per via aerea a dei soci che andranno a cercare l’oro di cui è ricca la regione di Kayes, nel sud-ovest del Mali.

 

Chi ha raccolto le pesche poco o tanto quasi sicuramente continuerà a lavorare anche a settembre con le mele, per qualcuno degli altri c’è ancora una debole speranza. Chi si è reso conto che non avrebbe lavorato affatto ha  venduto la bicicletta e se ne è andato quando ancora aveva qualche risparmio per pagarsi il biglietto del treno. Chi vorrebbe partire ma non ha i soldi per il viaggio: uno mi ha chiesto quanto costa  andare a Parigi, l’altro l’ho incontrato in biblioteca che cercava su internet dove si trova il quartiere Kreuzberg a Berlino dove vive un amico che gli ha telefonato “Mi ha detto di prendere il treno da Milano a Berlino e poi alla stazione chiedere dove si trova Oranienplatz. Lui mi viene ad aspettare lì”, qualcuno è rassegnato a tornare a Rosarno e ricominciare tutto da capo. Un biglietto da Torino a Rosarno costa 100 euro

 

Konaté parla veloce un buon italiano, è in italia dal 2002, ha lavorato 7 anni a Parma in un mobilificio, montava serramenti, cucine e camere da letto, in Africa già faceva il falegname.  Viene da Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, la terza area metropolitana dell’continente dopo Il Cairo e Lagos, oltre 10 milioni di abitanti in continuo aumento. E’ stato tra i primi ad arrivare a Saluzzo, a fine maggio, spinto dalla disoccupazione piombata improvvisamente quando ormai pensava di essersi sistemato. Per tutta l’estate si è dato da fare per cercare un lavoro e dare una mano ad organizzare le faccende di Guantanamo: i gruppi di cucina, gli spazi sotto le tende, la pulizia dei luoghi comuni. Ma alla fine ha lavorato solo per qualche giorno in nero. Però è tenace e adesso che la stagione volge al termine, ha stampato il suo lungo curriculum e lo vuole portare nei mobilifici e nelle fabbriche del circondario per cogliere l’occasione eventuale che darebbe un senso nuovo alla sua permanenza  a Saluzzo in condizioni che neppure immaginava.

 

Bengo ha fatto la guerra in Costa d’Avorio, a giugno aveva una cartellina con tante fotocopie del permesso di soggiorno e scritto a mano il suo numero di telefono. Le ha portate ovunque senza troppa fortuna. Gliene resta una sbiadita e tutta stropicciata: “Adesso raccolgono le mele, conosci qualcuno?”.

 

“Lavorare” in lingua bambarà si dice “barà”, “so” vuol dire casa ma indica anche il villaggio. Di notte comincia a fare freddo al villaggio di Guantanamo.

 

Ai piedi delle montagne, lontano dal mare di altri approdi e altre storie

 

 

Lele Odiardo

 

 

NB I nomi sono fittizi, le storie sono vere

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lun

29

lug

2013

BENVENUTI A GUANTANAMO

Il 20 luglio è iniziata la raccolta delle pesche in provincia di Cuneo, "prospettive di mercato interessanti per un prodotto di buona qualità e prezzi superiori alla scorsa stagione"; la Coldiretti, che rappresenta i colossi dell’imprenditoria agricola locale, cinque giorni prima aveva inaugurato in pompa magna alla presenza di sindaci, forze dell’ordine, giornali e televisioni i cosiddetti “campus” per i lavoratori stagionali africani. Uno sforzo economico rilevante per acquistare i containers attrezzati e pagare il personale di sorveglianza, compiuto con il sostegno delle banche e della Camera di Commercio, con il contributo diretto degli stessi imprenditori che hanno prenotato i posti e che pagheranno 1 euro al giorno per ogni lavoratore. Anche i lavoratori dovranno versare a loro volta un contributo di 50 centesimi al giorno per l’ospitalità.

I “campus” di Saluzzo, Lagnasco e Verzuolo che ospiteranno un totale di 114 persone fino ad ottobre sono il fiore all’occhiello del “piano accoglienza” voluto dal comune di Saluzzo per dare una risposta dignitosa all’emergenza migranti che ormai emergenza non è più. Per il resto ci sono 15 migranti presso la fatiscente casa del cimitero (i posti messi a disposizione dal comune), 28 migranti in ordine sparso nei comuni di Revello, Scarnafigi, Manta e Costigliole, un numero imprecisato ma estremamente ridotto ospiti dei datori di lavoro. La Caritas accoglie 40 persone che possono restare un mese e poi se ne devono andare, attraverso un meccanismo di turnazione comprensibile ma poco gradito ad alcuni migranti.

Siamo a poco più di 200; altri 500 (in aumento) sono accampati abusivamente al Foro Boario nella tendopoli che gli stessi migranti chiamano Guantanamo, ormai diventata un vero e proprio villaggio, con il barbiere, il tabaccaio, il meccanico, le piazze per chiacchierare e giocare a dama e carte. Luogo dove approdano i nuovi arrivati, da cui si parte per cercare un lavoro o per andare al lavoro, luogo dove anche i migranti ospiti nelle strutture di accoglienza trascorrono il tempo libero.

Luogo senza acqua, corrente elettrica, servizi igienici.

In un microcosmo brulicante convivono ragazzi e uomini provenienti dal Mali (la comunità più numerosa), Burkina Faso, Costa d’Avorio, Senegal, Guinea, Ghana, Gambia, Niger, la lingua più diffusa è il bambarà, quasi tutti sono di religione musulmana. Molti gli osservanti che in questi giorni celebrano il ramadan, digiuno durante il giorno e pasti al mattino presto e la sera al tramonto, la preghiera collettiva guidata da un imam e quella individuale sul proprio cartone mentre intorno si continua a parlare di lavoro, di permessi di soggiorno, di situazioni difficili nei paesi d’origine. Chili e chili di riso e pollo cucinati su gas collettivi o fornelli da campeggio ma anche su fuochi che bruciano 24 ore al giorno alimentati da legna recuperata in giro, marmitte annerite e lavate sommariamente vista la notevole lontanaza dell’unica fontana disponibile, nel parco giochi del quartiere. I bancali cominciano a scarseggiare e sono preziosi per sollevare dal terreno materassi e cartoni dove dormire.  Aleggia sul campo un odore di fumo, spezie e immondizia esposta per troppo tempo al sole che finalmente comincia a scaldare.

Qualche tenda da campeggio, i teloni blu che da maggio ospitano i primi arrivati ma soprattutto tante capanne costruite da mani esperte con pali in legno, cartoni alle pareti, teli di plastica come rivestimento esterno. Arredate all’interno con tappeti donati da qualcuno o prelevati dalla vicina discarica comunale, quotidianamente violata per recuperare i “rifiuti solidi urbani” e gli “ingombranti” dismessi dai saluzzesi attenti al mutare dei gusti e delle mode e poco avvezzi al riciclo creativo: un attaccapanni adattato a tavolo, un passeggino diventa comoda poltrona per chi gioca a dama, una specchiera con cornice demodé serve al barbiere, poi ancora un televisore senza il tubo catodico e pensili da cucina trasformati in preziose dispense, poltrone sfondate e materassi , un vecchio tavolino da campeggio senza una gamba diventa postazione per il computer.

Mustafà intreccia brandelli di fili dei freni delle biciclette per realizzare piccoli, eleganti bracieri per fare il thè o il caffè, smonta e rimonta biciclette, accoglie tutti con una battuta spiritosa che a volte stona con lo squallore del contesto ma restituisce a chi sta intorno un mozzicone di vita e di speranza.

Giornalisti e soprattutto fotografi non sono bene accetti, ormai le immagini possono fare il giro del mondo in breve tempo e arrivano anche sui computers in Africa. “Se scrivi  - Saluzzo migranti – su You Tube tutti possono vedere le condizioni in cui viviamo qui. E’ meglio che le nostre famiglie non lo sappiano” dicono in molti.

I carabinieri si fanno vedere poco, difficile ormai identificare tutti.

Guantanamo n’est pas bon! E gli ultimi arrivati si guardano intorno sconsolati e delusi: “Che schifo” dice Amadou in italiano corretto, un fisico da Bronzo di Riace, appena lasciato a casa da un pastificio del bresciano dove ha lavorato per anni, contratto di affitto scaduto a fine giugno. “Torno da mia madre ad Avigliana” dice Kirk mentre gioca a calcetto, ha 17 anni e il tipico accento torinese, è venuto a Saluzzo per cercare un lavoro durante le vacanze di scuola, come fanno molti suoi coetanei italiani per prendere la patente o pagarsi le vacanze al mare con gli amici. Ibrahim fa parte della colonia maliana, avrà quarant’anni, ha trascorso l’inverno a Roma ed è il secondo anno che viene a Saluzzo, il padrone dell’anno scorso lo ha chiamato ma non ha un posto per lui: “Non posso restare qui fino a ottobre, spero di trovare una sistemazione migliore”.

Intanto anche al foro cominciano a comparire dei contratti di lavoro e, all’alba, partono le prime biciclette dirette ai frutteti del circondario. Issah ha potuto scegliere tra un padrone che lo pagava meglio ma non ha i kiwi e un altro che, pur pagandolo un po’ meno, gli ha garantito un contratto più lungo: “Adesso lavoro, perché non posso andare anche io nei containers?”. Moussa tiene ben riposto nello zainetto la comunicazione di assunzione, per 47 giorni, 18 giornate lavorative previste, chissà quante saranno segnate in busta paga; non ha chiesto quanto lo pagano all’ora e il padrone non glielo ha detto.

Louis aveva bisogno di 5 euro per ricaricare il cellulare, oggi è venuto a dirmi che così ha potuto telefonare al padrone che gli ha fatto portare i documenti per il contratto: sorrideva mentre lo diceva, lui che di solito ha l’aria seria ed è sempre preoccupato per qualcosa.

 

Di là della recinzione sventolano le bandiere giallo-verdi della Coldiretti e biancheggiano i containers. Reti da cantiere alte 2 metri  creano una condotta forzata per consentire l’accesso all’unico bagno disponibile per i 500 di Guantanamo, un lungo corridoio per evitare contatti tra chi è dentro e chi è fuori e passa accanto al campus dotato di docce, servizi e, curiosamente, stendibiancheria in abbondanza.

 “Tenere con cura il braccialetto Coldiretti di colore giallo ed il badge identificativo rilasciato dopo la registrazione. Senza il braccialetto ed il badge non è ammesso l’ingresso nel campo.”, “Vietato entrare dopo le 23”, recita perentoriamente il regolamento che i migranti sono stati obbligati a sottoscrivere. A far rispettare le regole pensa il “responsabile della sorveglianza”, qualsiasi trasgressione sarà punita con “l’immediato allontanamento dal campo”. Vietato introdurre armi, sostanze stupefacenti, oggetti e persone senza preventiva autorizzazione (?). Non si possono “organizzare eventi” o fare schiamazzi nel campus, meglio stare in silenzio e andare a dormire presto, meglio che non si parli troppo di integrazione, tanto a fine stagione, quando non serviranno più, se ne dovranno andare.

Di giorno a sgobbare nei campi per 5 o 6 euro all’ora, di sera chiusi nel “dignitoso” recinto

Durante il giorno il campus è deserto, quando scende la sera le luci accese accentuano il buio della tendopoli. Di braccialetti gialli se ne vedono pochi in giro, chi ce l’ha lo tiene in tasca perché non ha affatto voglia di esibire la propria condizione di “privilegiato”. “Mi hanno chiesto di entrare e sono entrato, da maggio dormivo sotto il tendone, adesso ho un letto vero e tra poco comincio a lavorare” dice Souleymane “Non è mica una vita questa qua, sono stufo e voglio tornare in Mali”. Anche Mamadou ha avuto un posto: “Quando non lavoro preferisco restare a Guantanamo, con i miei amici mi sento più libero, siamo a posto con i documenti, perché hanno paura di noi?”, “Quando è che mettono degli altri containers anche per chi è fuori?” chiede un altro.

Volevano braccia, sono arrivati uomini!

Lele Odiardo

NB I nomi sono fittizi, le situazioni sono reali.
PS: la foto è presa in prestito da http://laterracheconnette.wordpress.com/
      i biancheggianti container con segretario coldiretti
      sullo sfondo 500 INVISIBILI  senza acqua e luce.

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